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Dal grano al pane

La tradizione a tavola - Parte Seconda

A cura di BARBARA TONIN

Fotografie di ALESSANDRO BONVEGNA, BARBARA TONIN, DOMENICO IANARO, ELISABETTA CABIDDU, FABRIZIO ROSSI, MASSIMO TABASSO, MAURIZIO EDOARDO ANFOSSI, REMO TURELLO

Italia, GIAVENO – TO

Nell’articolo precedente abbiamo raccontato brevemente la storia della nascita del pane; riprendiamo pertanto in questa seconda parte il progetto “Dal grano al pane” per condurvi all’interno del laboratorio del Forno Calcagno Tunin, dove l’intera squadra dei Panificatori Artigiani De.C.O. Giaveno ci spiega e ci rivela come si fa il pane oggi, con le attenzioni di un tempo. Come al tempo dei Romani e fino a pochi decenni fa, la panificazione era fatta interamente a mano. Con il passare degli anni, però, l’aumento della richiesta di pane, la conseguente necessità di accelerare le tempistiche di produzione, nonché il bisogno di creare un ambiente di lavoro più agevole e meno faticoso, hanno fatto sì che la tecnologia fosse introdotta anche all’interno dei forni. Ce l’hanno raccontato e dimostrato i panificatori di Giaveno, che ci hanno dedicato un pomeriggio e ci hanno fatto conoscere gli ingredienti, i procedimenti e i macchinari.
Da sinistra: Michele Chiambretto, Giovanni Chiambretto, Dario Calcagno Tunin, Antonio Morisciano, Andrea Goitre - Remo Turello Photography

La preparazione del pane

Un laboratorio dedicato alla panificazione è uno spazio suddiviso in aree, in modo da creare una linea di lavoro: una prima zona è per le impastatrici, la seconda è per le formatrici e l’ultima ospita la cella di lievitazione e i forni.

Dopo una breve introduzione sulle farine, la prima macchina di cui vediamo il funzionamento, seguendo la linea di produzione, è quindi l’impastatrice. L’impastatrice è dotata di un grosso braccio a spirale che ruotando miscela i vari ingredienti all’interno di un ampio contenitore e ne forma, appunto, un impasto.

Barbara Tonin Photography
Barbara Tonin Photography
Remo Turello Photography

Rispetto a quelli più tradizionali, i panifici moderni sono dotati di celle di lievitazione, che hanno permesso di spostare il lavoro da orari notturni a orari più diurni. In questo modo il pane può essere preparato il giorno prima e fatto lievitare da mezzogiorno per tutto il tempo necessario. Grazie alle celle di lievitazione il giorno dopo il panettiere si può concentrare solamente sulla cottura.

L’impasto viene preparato miscelando di base farina, malto, sale, lievito di birra e infine acqua. Tipi di pane diversi, ovviamente, si diversificano nel tipo di farina e nella presenza di ulteriori ingredienti. I laboratori di panificazione producono prevalentemente pane, grissini e pizza; gli impasti e la cottura saranno pertanto differenti.

Massimo Tabasso Photography

Il passo successivo consiste nel tagliare il composto lievitato in “liste” (filoni) e dargli la forma desiderata. A tal proposito si utilizzano la spezzatrice e la formatrice: la prima taglia l’impasto, mentre la seconda lo modella. Quest’ultima è una macchina con due cilindri regolabili, che girando in senso opposto simulano due mattarelli, ed è dotata di tappeti mobili che portano fuori la pasta: la pasta viene prima schiacciata e poi fatta passare tra due coltelli che la arrotolano su sé stessa, per poi darle la forma desiderata. Più si lamina la pasta, più diventa morbida.

Barbara Tonin Photography
Barbara Tonin Photography

L’impasto per grissini, ad esempio, tende a perdere tutta l’acqua in cottura: con 4 kg di farina si possono fare 4 kg di grissini. Il pane invece trattiene circa il 10% dell’acqua, in quanto la mollica mantiene più umidità. La resa dipende dalla raffinatura della farina: un tempo si aveva un rendimento del 25% in più perché le farine erano più grezze e il pane rimaneva pertanto più umido. A termine cottura, quindi, pesava il 25% in più rispetto alla farina utilizzata. Attualmente, esistono macchinari appositi per analizzare la farina e far sviluppare il glutine al massimo nelle impastatrici.

Remo Turello Photography

Ai tempi dei nostri nonni, questo processo veniva fatto tutto a mano: si formavano le liste di impasto e si spezzavano, poi si lasciavano riposare e, infine, si dava la forma. I panettieri dedicati a fare soltanto questo – ognuno aveva il proprio ruolo – erano chiamati turnisti.

Il primo che arrivava in panificio era l’impastatore, poi i turnisti e infine l’infornatore. Quest’ultimo era il più pagato, perché per fare l’infornatore si doveva saper fare anche tutto il resto, quindi ci volevano 15-20 anni di esperienza prima di ricoprire questo ruolo.

Remo Turello Photography

Una volta pronto, il composto viene fatto lievitare su assi di legno per circa un’ora e mezza ma, a volte, anche fino a 3 ore, al fine di perdere la nervatura acquisita durante le procedure di impasto e rilassare le fibre. Per evitare che si formi una crosta superficiale – aspetto negativo per il pane in lievitazione e soprattutto per i grissini – è necessario coprire il tutto con un telo di nylon.

Barbara Tonin Photography

L’ultima fase nella produzione del pane è, ovviamente, la cottura. I forni moderni hanno più celle che possono essere accese in modo indipendente e alla temperatura desiderata per ogni tipo di preparazione. Sono dotati anche di un tappeto trasportatore che permette di far scivolare le pagnotte all’interno, utile soprattutto con i grissini. A differenza di quelli antichi, ci impiegano molto meno tempo a riscaldarsi – qualche ora a fronte di cinque giorni – e la cottura è più omogenea; in più, la forma circolare dei forni antichi rendeva l’infornamento più difficile, in quanto erano più stretti e si potevano produrre al massimo 30-40 kg di pane in quelli più grandi!

Remo Turello Photography
Remo Turello Photography

I grissini torinesi stirati
a mano

Il momento più appassionante di questo interessante pomeriggio arriva quando questo simpatico gruppo di panettieri ci mostra come si fanno i veri grissini torinesi stirati a mano.

Maurizio Anfossi Photography
Maurizio Anfossi Photography

I fratelli Michele e Giovanni Chiambretto sono massimi esperti di questo prodotto, che arriva a misurare addirittura anche 180 cm! Qui li vedremo più corti per motivi di spazio, ma chi è interessato può andarli a trovare al loro laboratorio.

La pasta dei grissini è più elastica di quella del pane ed è quindi facilmente modellabile per la stiratura. Dopo la lievitazione si preparano dei sottili filoncini di impasto e si mettono a “rilassare”; una volta che la nervatura ha ceduto, possono essere stirati. La stiratura consiste nel prendere in due il filoncino e farlo dondolare fino alla lunghezza voluta. Una volta stirati, i grissini sono pronti e vengono infornati. La forma risulta quindi abbastanza omogenea e lineare, a differenza dei “rubatà” che vengono schiacciati e allungati con le mani.

Barbara Tonin Photography
Remo Turello Photography

In commercio esistono macchine che tagliano e stirano, ma la passione dei panificatori di Giaveno preferisce tramandare l’arte seguendo la tradizione. Solo la tecnica di infornamento ha ceduto il passo alla modernità, in quanto l’utilizzo del tappeto mobile permette una resa finale migliore. Un tempo, invece, si utilizzavano delle pale grandi lunghe come i grissini e si dava un colpo di polso per farli “saltare” e appoggiare nel forno.

Maurizio Anfossi Photography
Remo Turello Photography
Remo Turello Photography

Lo sfornamento, infine, è manuale e si adopera la pala, dopodiché vengono divisi in due o quattro pezzi. Tra un’infornata e l’altra si utilizza l’aspiratore, che serve a togliere il semolino che rimane in forno; se non viene fatta questa operazione, questo si incenerisce e i grissini assumono un gusto di bruciato. Per preparare i grissini servivano cinque persone: uno tagliava, due stiravano, uno infornava e, infine, l’ultimo sfornava.

I grissini hanno un tempo di cottura di circa 10-12 minuti, in cui perdono tutta l’acqua presente nell’impasto e l’umidità assorbita dalla farina e tendono, pertanto, ad incurvarsi su sé stessi.

Dopo averci deliziato – nel vero senso della parola – con i grissini, le sorprese non sono terminate e il panettiere Andrea Goitre, con più anni di esperienza, ci mostra come si dà forma al pane locale tradizionale più apprezzato e più richiesto: le biove, le miche, le mezzane, gli stirotti, solo per citare alcuni dei trentacinque tipi di pane che solitamente prepara! Una curiosità sulle biove: per creare il vuoto all’interno si devono aprire le valvole del forno che fanno uscire acqua e umidità in modo repentino.

Remo Turello Photography
Remo Turello Photography
Remo Turello Photography
Barbara Tonin Photography

L’attività dei panificatori di Giaveno non si limita alla produzione; l’Associazione De.C.O. si occupa e si preoccupa di sensibilizzare i concittadini ad azioni a favore della salute, quali il progetto di riduzione del sale a tavola, la corretta alimentazione a scuola durante la merenda e, come con noi, accoglie i piccoli studenti in laboratorio.

Non mancano, inoltre, allegre iniziative promosse dal Comune per la promozione dei prodotti locali: “Giaveno, Città del buon pane” porta in piazza ogni anno non solo i panificatori ma addirittura i forni! Pane, pizza e biscotti vengono impastati e infornati sotto gli occhi dei visitatori, prelibatezze che poi potranno gustare ancora calde. Completano la cornice, per le vie del paese, le bancarelle con i prodotti locali e artigianali, presso cui ci si può deliziare con assaggi di tutti i tipi o acquistare manufatti tipici e originali. E poi ci sono la banda, le majorette e le ballerine di Giaveno con note ed evoluzioni che rallegrano i concittadini e i visitatori.

Massimo Tabasso Photography
Elisabetta Cabiddu Photography
Alessandro Bonvegna Photography

Ringraziamo il sindaco Carlo Giacone, Alessandra Maritano e i panettieri dell’Associazione De.C.O., ovvero Dario Calcagno TuninAndrea GoitreMichele ChiambrettoGiovanni Chiambretto e Antonio Morisciano per l’ospitalità e la disponibilità.

Per conoscere Giaveno e gli eventi organizzati visita la pagina VISIT GIAVENO

Panificatori Giaveno DE.C.O.

PANIFICATORI GIAVENO ARTIGIANI DE.C.O.

Articoli precedenti: Dal grano al pane parte prima, grani antichi numero 71; mulini ad acqua Du Detu e della Bernardina numero 80.

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